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martedì 10 febbraio 2009

Della vita, della morte e del tutto

Seguendo a tratti, con doloroso distacco, il bailamme mediatico scatenatosi negli ultimi tempi attorno all'ennesimo caso di vita negata... o morte negata, mi succede di interrogarmi sull'argomento filosofico di cosa sia vita.

Per noi esseri umani pare sia facile definire la vita: si nasce, si cresce, si hanno speranze e desideri, si fanno esperienze, si accumulano vittorie e delusioni, sconfitte e soddisfazioni, si invecchia, si muore. Detto così sembra facile e logico. Ma forse il fatto che si invecchi, per esempio, non è del tutto scontato. Certo, la maggior parte di noi invecchia, ma quanti bambini muoiono ancora piccoli, ancora "irrealizzati" ? Questa ci sembra una ingiustizia, eppure è solo uno dei tanti modi che ha la natura, che NON è la buona "Madre Natura", per autoregolarsi.

Se cerco di immaginare la vita per un animale diverso dall'uomo posso immaginare, in base al suo livello nella scala evolutiva, delle pulsioni di base, qualche cosa simile a dei sentimenti e una cosiddetta "non coscienza di sé" che mi aiutano a semplificare il concetto, anche se non a giustificare violenze e sofferenze inutili
nei loro confronti.

Esistono poi le piante, i licheni, i virus, i batteri... tutte forme di vita in cui il concetto di "vita" è talmente lontano dal nostro sentire da permettermi di escluderle da questo ragionamento, fatto salvo il rispetto che porto per loro e le evidenti conseguenze della loro morte (vedi escherichia coli, tanto per dirne uno).

Ora per tornare a noi cerco di immaginare Eluana, giusto per non fare nomi, i suoi amici, le sue speranze, i suoi sogni... tutto spento in un attimo, tutto bloccato: niente più condivisione con gli amici, niente più indipendenza, niente più speranze, rimane solo la vita biologica, e in realtà nemmeno quella, in quanto dipendente dall'esterno. Cerco di mettermi nei suoi panni solo per un minuto, e la cosa mi risulta intollerabile: non poter correre, non poter mangiare le fragole con la panna, non poter baciare, non poter nuotare, non poter fare l'amore... non potere nulla. Mi chiedo quanto potrei sopportarlo, e so di sicuro che non sarebbero diciassette anni, e neppure diciassette mesi. E allora mi viene voglia di scomparire, continuo a chiedermi cosa ci faccio qui, e me lo chiedo giorno per giorno, notte dopo notte, per mesi, per DICIASSETTE ANNI.

E dopo questi ragionamenti penso che se una persona non è credente, ma anche se lo è, non può accettare questa forma di martirio, non tutti sono pronti a farlo, e soprattutto non tutti devono subirlo nel nome di una "volontà superiore", quando non riconoscano questa volontà, quando abbiano espresso la loro intenzione di non attendere la morte per anni legati ad un letto senza una più che ragionevole sicurezza di riguadagnare il loro stato naturale.

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